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Sul Sentiero del Pellegrino, la domenica mattina, il silenzio è una lama. Taglia l’aria, scava nei polmoni, rende ogni passo una domanda.
La pendenza è di quelle che non perdonano: 8, forse 10%.
Sufficiente per metterti in crisi, non abbastanza da giustificare una resa.
A un certo punto senti che non stai solo salendo un sentiero.
Stai salendo te stesso.
E tutto quello che hai raccontato negli anni — forza, disciplina, autocontrollo — si presenta al varco chiedendo il pizzo.
È lì, in quella strettoia, che ho capito la trappola più perfida in cui cadiamo: crediamo di essere preparati solo perché un tempo lo eravamo.
La memoria della forza sostituisce la forza reale.
E il risultato è un’illusione che ti accompagna finché la salita non la frantuma.
Questa non è una storia di montagna.
È una storia di investimenti.
E di come la nostra mente si ostina a credere che un grafico sempre in salita sia una promessa.
Non lo è.
È un avvertimento.
È semplice: un anno fa mi allenavo. Pesavo tredici chili in meno. Mi sentivo solido.
Così ho guardato la mappa del sentiero: 8 km. 800 metri di dislivello.
Niente di che.
La mente ha fatto un click impercettibile: “ce la fai”.
Gli investitori fanno lo stesso.
Guardano l’S&P 500 come fosse una pista ciclabile.
Una linea che sale, un mantra ripetuto: “nel lungo periodo il mercato cresce”.
E allora si buttano all-in, senza diversificazione, senza un fondo emergenza, senza un piano vero.
Convinti che la fatica sarà minima, che loro non soffriranno come la massa.
Illusi come me davanti a quel cartello “Sentiero del Pellegrino – 8 km”.
La verità è che il lungo periodo non lo vive nessuno nei grafici.
Lo vivi nella pancia, nel sonno perso, nel conto che scende.
Lo vivi nel sangue chimico del cervello, quando la dopamina ti abbandona e arriva il cortisolo: l’ormone della paura.
Nella salita c’è stato un momento che potrei sintetizzare con la voce di Aldo Baglio:
“Non posso né salire né scendere.”
Il corpo vuol sedersi, l’orgoglio ti afferra per la maglia.
E intorno nessuno che ti guardi, nessuno da incolpare.
Solo te stesso, la tua valutazione sbagliata, la tua presunzione iniziale.
È lo stesso istante in cui si trovano gli investitori quando il portafoglio perde il 30%.
Non vendono: sarebbe ammettere la sconfitta.
Non tengono: sarebbe accettare il dolore.
Restano lì, impalati.
In ostaggio della speranza che “domani forse rimbalza”.
Ma non sempre rimbalza domani.
Nel 2008 ci vollero anni.
Quattro.
Cinque.
Anni in cui ogni mattina guardi il conto e senti che qualcosa dentro di te — sicurezza, fiducia, futuro — si sta ritirando come una marea tenuta a bada a fatica.
La gente sui forum dice “buy the dip” come si dice “buttati, ti tengo”.
Ma quando guardi giù ti accorgi che sotto non c’è nessuno.
È troppo facile dire che “basta diversificare”.
Che “il mercato recupera sempre”.
Che “con un piano a lungo termine non ci sono problemi”.
Frasi comode come le scorciatoie che non esistono.
La realtà è più pesante:
il lungo periodo non è uguale per tutti;
l’emotività non è un dettaglio, è il volante dell’intera macchina;
la tecnologia ti dà strumenti, ma anche tentazioni;
studiare aiuta, ma non ti salva dal panico quando la realtà si mette di traverso.
Se bastasse un ETF globale per essere tranquilli, i report dell’OCSE non parlerebbero ogni anno di investitori che guadagnano la metà del mercato perché si arrendono nei momenti sbagliati.
Chi racconta che è semplice… ti sta vendendo qualcosa.
Anche solo il proprio ego.
Sul Sentiero del Pellegrino, mentre arrancavo, ho realizzato una cosa che vale più di qualunque modello matematico:
la montagna non trattiene niente.
Ti restituisce esattamente chi sei.
Non chi credi di essere.
Non chi racconti di essere.
E così anche il mercato.
Quando tutto sale, siamo tutti generali.
Quando tutto scende, scopri la tua vera soglia di dolore.
La tua vera disciplina.
Il tuo vero tempo.
La tua vera solitudine.
Io sono arrivato alla vetta — con fatica, con imprecazioni, con il cuore che picchiava — perché avevo margine.
Tempo.
Energia.
E soprattutto avevo lo zaino: acqua, sali, cibo.
Il mio fondo emergenza, letteralmente.
Non si sale una montagna con le tasche vuote.
E non si affronta un ribasso con il conto corrente al lumicino.
Alla vetta del Cacciatore il mondo si fa immenso.
Le difficoltà si rimpiccioliscono.
Non perché scompaiano, ma perché le hai attraversate.
Così negli investimenti.
Non diventi forte evitando la fatica.
Diventi forte preparandoti prima.
E allora, dopo questa storia, resta una domanda che pesa più della salita:
Se domani il tuo portafoglio perdesse il 30%, avresti davvero fiato — mentale e finanziario — per continuare a salire?
O stai già camminando su un sentiero per cui non ti sei preparato?
Perché quando arriva la pendenza, la verità non concede sconti.
E la montagna, come i mercati, non accetta scuse.
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Il percorso chiamato Sentiero del Pellegrino porta al santuario del Monte Lussari:
Il sentiero parte da Camporosso (Tarvisio) (quota circa 850 m) e raggiunge il borgo/santuario sul Monte Lussari a circa 1 789 m di altitudine.
Il dislivello è dell’ordine di 900–1 000 metri, su un tragitto di circa 5–6 km in salita.
Il percorso segue in larga parte una forestale/stradina sterrata immersa nel bosco (faggi, abeti) e attraversa la Via Crucis con le cappelle lungo il tragitto.
L’arrivo è al borgo del Monte Lussari, meta di pellegrinaggi — italiani, sloveni, austriaci — grazie al sacro tema legato al ritrovamento di una statua della Madonna.
Tranquillo da affrontare, ma richiede buone gambe: la pendenza è costante e alla fine si apre un panorama notevole sulle Alpi Giulie.